La buona battaglia per l’IRC

Di Luciano Pace.

Già nel secolo scorso, Gilbert Keith Chesterton avvertiva che l’amore e la lotta non sono affatto due realtà contrapposte. Anzi! A suo dire: «Non si può amare qualcosa senza combattere per essa». Perciò stesso, rilevava che il più grande pericolo per il vivere umano sarebbe giunto da quei «filosofi di oggi» che hanno «cominciato a dividere l’amore dalla guerra, a collocarli in due campi opposti». Una simile separazione era, al suo acuto ed arguto sguardo di letterato e polemista, il sintomo più chiaro della decadenza intellettuale e morale del suo (nostro) tempo.

È da notare che “lottare” per ciò che si ama, non significa necessariamente agire con violenza. Si può lottare una vita intera per costruire una relazione matrimoniale fedele nell’amore e, per far questo, la violenza va assolutamente evitata. La lotta di cui parla Chesterton è animata da cura, senso di protezione e di preoccupazione verso ciò che si ama. Il modo migliore di esprimere questo attaccamento affettivo è usar raziocinio in modo fermo, ma nello stesso tempo rispettoso di coloro da cui ci si difende. La Prima Lettera di Pietro lo ricorda bene: la difesa della speranza alla quale siamo stati chiamati in Cristo sia fatta «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (v. 16). La Teologia è questo per san Pietro: lotta dolce e rispettosa, con le armi della ragione e della retta coscienza, condotta con rispetto e gentilezza verso chi si auto-pone come avversario di Cristo e della Chiesa.

L’atteggiamento indicato da Chesterton e da san Pietro è assai lontano dalla sensibilità culturale del nostro tempo. Nella società in cui stiamo esistendo il principio indiscutibile e irriflesso accolto da tutti è sempre e solo uno: ogni opinione deve essere accolta e mai giudicata. Se giudichi l’opinione di chi non la pensa come te, affermando anche solo di non essere d’accordo a motivo di alcune ragioni, sei una persona orribile! Mi domando: da dove nasce psicologicamente questa paura del sentirsi giudicati? Perché esiste? Come potrebbe esistere in un mondo in cui davvero non ci si giudicasse malamente a vicenda, bensì secondo retto giudizio? Ecco, come si può constatare: qualcosa non torna!

Il timore di essere giudicati, così diffuso in molte coscienze giovani e adulte del nostro tempo, nasce da un inganno: l’idea che per costruire fraternità ci si debba rispettare nel senso di “non pestarsi i piedi” a vicenda. Questo atteggiamento per cui “io rispetto tutti gli altri, basta che mi lascino in pace”, non genera fraternità, bensì indifferenza e disinteresse reciproco. Non posso considerare mio fratello in umanità qualcuno che lascio esistere al mio fianco come se fosse un estraneo la cui presenza non mi tocca e per cui non mi do premura. L’amore implica la lotta, appunto. Una lotta che, don Milani, esprimeva con il suo famoso “I care”. Questa lotta vale la pena di essere combattuta ogni giorno, anche fra le mura scolastiche.

Fra chi combatte contro questa meschina ideologia del “chissenfrega” degli altri, subdolamente presentata come forma di accoglienza e rispetto dell’alterità, ci siamo anche noi insegnanti di Religione Cattolica. Tuttavia, la nostra posizione è curiosa: quella cultura che parte dall’assunto per cui tutti quanti debbono essere accolti a scuola (anche a motivo della religione che professano), sembra non poter essere applicata alla nostra presenza. È da tempo ormai che alcuni quotidiani locali e nazionali denunciano l’assurdità del continuare a garantire il nostro insegnamento nella scuola. Il che, appunto, suona buffo: desiderio di estrometterci dalla scuola laica in nome dell’accoglienza e l’inclusione verso tutti.

Forse questo accade perché le logiche del mondo non si adattano mai a Cristo e al suo Vangelo, nemmeno nella nostra epoca. Tuttavia, c’è del buono nella lotta contro noi insegnanti di Religione Cattolica: l’agone in cui siamo coinvolti dimostra che, agli occhi di alcuni cittadini, siamo considerati un pericolo per la laicità dello Stato e della scuola, ciò per cui, secondo loro, vale la pena lottare politicamente contro di noi. Questo amore alla laicità, a loro giudizio, non può corrispondere all’accoglienza e alla promozione dell’IRC a scuola.

Una simile battaglia in cui l’IRC è coinvolto da tempo è rispettabile ed è anche un piacere combatterla, a dirla tutta. La buona battaglia dell’IRC: mostrare, non a parole, ma con la vita vissuta a scuola, quanto siano in errore i nostri detrattori. Questo è anche ciò che motiva l’esistenza di questo blog: porre in luce l’infondatezza dei timori di chi ci osteggia. Una luce che, mentre risulta dolce e gentile come san Pietro auspicava, mostra le ombre delle accuse infondate e tendenziose che spesso vengono rivolte a noi insegnanti di religione a cui sta a cuore quell’accoglienza e quell’amore verso tutti e ciascuno che si origina solo dalla conversione a Cristo, potenza di Dio e scandalo per il mondo.

Un pensiero riguardo “La buona battaglia per l’IRC

  1. Roberto Onesti ha detto:

    Un manifesto!
    Molto interessante, grazie!

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