Perché proprio io, profe?

Questa settimana, durante una lezione di Religione Cattolica dedicata ad alcuni principi della Dottrina Sociale della Chiesa, uno studente mi ha domandato: “Profe, mi spiega perché io dovrei convincermi a diciotto anni che vale la pena pagare le tasse onestamente se il sabato sera, nei locali in cui bazzico come cameriere per racimolare qualche soldino, incontro adulti di ogni tipo, avvocati, giudici, imprenditori, liberi professionisti (di trenta e più anni), che, a quanto capisco, se ne fanno un baffo di essere onesti fiscalmente? Perché dovrei essere proprio io a “dare il buon esempio” a chi è adulto? Quale vantaggio ne trarrei?”. Come dar torto a questo giovane, che ha il buon senso di pensare ciò che vive quotidianamente? Come insegnare l’importanza dell’imperativo categorico kantiano, in un mondo di adulti che, nelle loro prassi, si trattano ogni giorno come mezzi per ottenere dei fini? Come comunicare il valore di una fede, quella cattolica, che invita alla conversione e al pentimento, in un mondo adulto in cui sembra anestetizzato ogni senso di giustizia? Ritengo che la risposta a questo studente sveglio e disincantato non debba venire solo dalle aule di Religione Cattolica. Troppo comodo! Tutti quanti noi adulti siamo chiamati ad interrogarci su quali significati stiamo comunicando con il nostro vivere ai giovani affidati alla nostra responsabilità educativa. E, ogni tanto, è bene ricordarci che, in tal senso, siamo giudicati in grande difetto da coloro che, in teoria, dovrebbero prenderci ad esempio per crescere in umanità.

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