L’aborto è un diritto?

Di Luciano Pace.

Da diverso tempo alcuni studenti mi domandano di scrivere qualcosa in riferimento all’aborto, come stimolo alla riflessione. La loro domanda è posta in maniera molto precisa, come se fosse una sorta di mandato: «Professore, perché non scrive una riflessione sull’aborto scollegata dalla fede che professa? In questo modo parlerebbe sia a chi crede, sia a chi non crede in Dio». Questo articolo raccogliere questa sfida argomentativa che mi pare interessante.

Sono due le ragioni per cui mi sono deciso a raccogliere la proposta dei miei studenti di riflettere sull’aborto senza far riferimento ad argomentazioni teologiche. La prima dipende dal fatto che, in effetti, associare il rifiuto dell’aborto a questioni puramente di fede potrebbe indurre a pensare che solo per motivi religiosi lo si possa rifiutare. Posizione assai riduttiva.

La seconda ragione dipende dalla sensibilità filosofica a cui sento appartenere (quella neo-tomista) secondo la quale la ragione umana, pur ferita dal peccato originale, ha una sua legittima autonomia di esercizio in ambito etico. Questa autonomia, lungi dall’essere in contrasto con le verità di fede, in realtà esalta ciò che accomuna ogni essere umano indipendentemente dalla religione che professa. L’esercizio della ragione ci può affratellare, andando oltre le scontate dicotomie che tendono a dividerci.

Vediamo quindi di entrare nel merito della questione. A molti, sembra che l’interruzione volontaria della gravidanza, chiamata aborto, sia un atto eticamente giusto. Quali sono le principali ragioni che vengono espresse per sostenere una simile posizione? Provo ad elencare quelle che mi sembrano le principali. 

Secondo una prima ragione, l’aborto volontario sarebbe giusto in quanto la legge dello Stato lo permette. Se fosse qualcosa di eticamente sbagliato, la legge lo vieterebbe, come avviene nel caso del furto, dell’omicidio, della diffamazione, ecc. Le leggi sono espressione di assemblee parlamentari votate dal popolo a cui sole compete la responsabilità di stabilire ciò che è giusto e, quindi, legittimo o meno.

Una seconda opinione ritine giusto l’aborto volontario in quanto è un atto collegabile alla libertà di scelta di una donna. Tale libertà è un diritto umano che va garantito. Non a caso la Francia, patria dell’Illuminismo, l’ha inserirlo recentemente nella sua Costituzione. Negare ad una donna la possibilità di interrompere volontariamente una gravidanza sarebbe negare arbitrariamente questo suo inalienabile diritto.  

C’è poi una terza opinione, quella di chi ritiene che il corpo intra-uterino di un embrione possa essere considerato proprietà del corpo materno con il quale vive in simbiosi. Essendo in un qualche modo espressione del corpo materno, come una specie di prolungamento, se la madre vuole privarsene può prendere legittimamente questa decisione. Vietare ad una donna di prendere tale decisione, sarebbe da parte dello Stato esercitare potere indebito sul suo corpo. 

Infine, c’è chi ritiene che all’embrione non possa essere assegnato il diritto alla vita in quanto, in quella fase di sviluppo intra-uterina, gli organi fondamentali che rendono un essere umano tale non si sono ancora del tutto formati. Di conseguenza, non essendo il corpo dell’embrione un corpo umano a tutti gli effetti, non è possibile trattarlo con la dignità di persona umana, ovvero riconoscerlo depositario del diritto alla vita. Sopprimere un embrione non è, quindi, negargli il diritto alla vita da lui non ancora posseduto.

Per contro a queste opinioni, uno dei criteri fondamentali con cui normalmente si discerne la giustizia nell’ambito dei diritti umani è la tutela di chi è più debole e indifeso. Le leggi, infatti, esistono per questo: per evitare la prepotenza del più forte sul più debole. La vita umana intra-uterina appare la più indifesa di tutte e, quindi, è quella che merita la maggior difesa da parte delle leggi democratiche.

Cerchiamo ora di esercitar raziocinio alla luce di queste diverse posizioni. Anzitutto, potrebbe essere di aiuto distinguere ciò che è “diritto” da ciò che è “privilegio”. Un diritto è qualcosa negando il quale si fa ingiustizia a colui o coloro cui lo si nega. Un privilegio è qualcosa di legittimamente acquisito, ma anche revocabile senza commettere ingiustizia. Chiediamoci: a quali condizioni legittime qualcosa può essere definito diritto? Sulla base di cosa si può dire che è tale?  

La risposta è duplice. Un diritto è tale o per natura o per acquisto. Entrambi i diritti sono inalienabili. Tuttavia, il diritto fondato sulla natura è prioritario rispetto a quelli che si acquisiscono. L’acquisto legittimo di un diritto di passaggio per una strada privata non ha valore se uno, per natura, non può camminare.  

Prendiamo ora il diritto alla vita. Chi sostiene l’aborto ritiene (magari senza averci mai riflettuto con attenzione) che la vita intra-uterina sia un diritto acquisito in base alla decisione della madre e non un diritto naturale. Ma in che senso un embrione potrebbe “comprare” legittimamente quel diritto? Forse tramite l’esercizio della sua volontà? Il che è assurdo se si considera che nessun embrione ha deciso di venire al mondo, né, a quanto pare, manifesta consapevole volontà, dato il suo stadio di sviluppo. 

Non rimane quindi che considerare il diritto alla vita dell’embrione un diritto naturale, ovvero, dipendente dal fatto che il suo corpo in sviluppo è umano fin dal concepimento. Se si dovesse negare questo adducendo che la decisione di farlo nascere dipende dalla madre, con questo si starebbe sostenendo che per l’embrione è un privilegio nascere e non più un diritto. Un previlegio che dipende da una decisione arbitraria della madre che dovrebbe accudirlo e rispetto alla volontà della quale non può far nulla per difendersi.  

In questo caso, la gentile concessione di nascere regalata dalla madre non potrebbe più essere eticamente considerata come il diritto inalienabile e naturale alla vita del nascituro. Sarebbe come sostenere che la gentilezza e la pietà dei padroni nei confronti degli schiavi non implicava affatto il riconoscimento del diritto alla loro libertà civile. Ma, la libertà politica, poteva essere acquistata per diritto da parte di uno schiavo. La vita va sempre e solo accolta e accudita come diritto naturale. 

Qui sorge però un problema: proibire l’aborto a motivo del diritto alla vita potrebbe implicare la violazione della libertà di espressione della donna rispetto al suo corpo. Il che potrebbe dar fastidio a chi è donna. In effetti, per rimanere all’esempio precedente, i padroni delle piantagioni di cotone del sud degli U.S.A. non furono contenti della concessione della libertà civile ai loro schiavi neri. Ma, appunto, un diritto non può essere calcolato sugli umori o sugli interessi di chi lo vuol negare, nemmeno quando le sue motivazioni paiano affettivamente sacrosante.

Tra l’altro, la libertà politica, così come è intesa già nell’art. 4 della “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 1789 è la possibilità di agire senza nuocere agli altri. Perché se si agisce nuocendo a qualcuno (anche agli animali per certi versi) la libertà di azione e di movimento potrebbe essere parzialmente revocata. Le pene per i reati servono esattamente a questo: a limitare la libertà di chi ha agito verso altri facendo prepotenza indebita ed ingiustificata.  

Da questo punto di vista, negare l’aborto non significa affatto sminuire la libertà di una donna, ma fare in modo che la legge tutelante il diritto alla vita sia allargata a ogni essere umano fin dal momento del concepimento, perché non lo si sopprima ancor prima che venga alla luce. La difesa di questo diritto è in linea con gli ideali illuministici che fondano la democrazia non solo come procedura elettiva, ma soprattutto come contesto di vita etica costituito a prescindere da qualsiasi presa di posizione puramente personale o arbitraria, fosse anche di ordine ideologico o religioso.

A chi poi sostiene che il diritto alla vita non vada riconosciuto all’embrione in quanto il suo corpo non è ancora pienamente umano, si potrebbe domandare in base a quali criteri scientifici si possa stabilire quando un corpo è umano. In base alle nostre conoscenze scientifiche attuali, il fondamento di ogni corpo umano è il DNA. Un corpo è umano quando il suo DNA è umano. Così “la natura”, “l’evoluzione”, “Dio creatore”, ha stabilito. Al di là di ciò che ciascuno crede, una cosa è evidente a tutti: nuovo DNA, nuovo corpo! Ora, il DNA si forma al concepimento e, di conseguenza, è da quel momento che comincia ad esistere una vita umana propriamente detta. Sopprimerla volontariamente prima che raggiunga il terzo mese di vita intra-uterina non è rispettare il suo diritto inalienabile ad esistere da quando è comparsa.  

Nemmeno è possibile sostenere scientificamente che la morula, i blastociti e l’embrione siano un pezzo del corpo della madre. Nonostante i due corpi vivano in simbiosi per nove mesi, e l’uno abbia bisogno dell’altro per svilupparsi, il corpo del nascituro non è un organo del corpo della madre. Tant’è vero che, abortendo volontariamente in condizioni mediche protette, la madre continua a vivere.  

Per tutte queste ragioni (nessuna delle quali è di ordine religioso), nonostante in diversi Stati democratici si siano promosse leggi che rendono legittimo l’aborto, questa circostanza politica non sta ad indicare che lo si possa considerare eticamente giusto; men che meno nel momento in cui il diritto alla vita sia riconosciuto sensatamente come il principale dei diritti da tutelare e quale fondamento della democrazia. Per certi versi, ciò che la Francia ha fatto recentemente non ha nulla di illuministico ahimè. Fra l’altro, se ci si pensa con calma, se fosse sufficiente approvare una legge per decretare ciò che è giusto eticamente, le sciagurate leggi razziali emanate durante il fascismo non dovrebbero generare nessuno scrupolo etico. 

In realtà, è un bene che abbiano generato sacrosanti scrupoli! Non sempre le leggi umane sono conformi ai diritti naturali. E, come già il saggio Cicerone notava, non basta certo la decisione di un parlamento a render eticamente giusto il non pagare le tasse, l’infedeltà coniugale e l’omicidio, nonostante questi atti siano commessi da molti. Difendere la vita umana dal suo concepimento non significa disprezzare le donne o voler impedire la loro espressione, ma difendere il fondamento della democrazia di cui anch’esse fanno parte. Per chi ha a cuore la democrazia, la tirannia, la prepotenza, la frode, l’inganno, l’omicidio, la vendetta, non potranno mai apparire azioni eticamente giuste. Perché per l’aborto, considerato alla luce della difesa del diritto alla vita (come qui è stato difeso), dovrebbe essere diverso?  

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