Il fondamento della libertà

Di Luciano Pace

Nel giorno della festa liturgica di san Marco, fra l’altro patrono di chi scrive, e in quello del ricordo della liberazione dal Nazismo e dal Fascismo offro una riflessione sulla libertà e sul suo valore etico e politico.

Fra i concetti più difficili da pensare, c’è sicuramente quello di “libertà”. La storia del Pensiero Occidentale è costellata da filosofi che la negano, per esempio in nome della “necessità” o del “destino”. Del resto, anche fra chi ne afferma l’esistenza, molti appaiono i modi di intenderla e non è affatto facile, nelle conversazioni, accorgersi che non sempre la si concepisce allo stesso modo. In particolare, spesso si confonde il “libero arbitrio“, ovvero la possibilità di volere ciò che si fa, con la “libertà politica“, cioè l’agire senza esser costretti da minacce esterne. Ancora, se si chiede ad un adolescente cosa sia la libertà, sosterrà facilmente che si tratta della possibilità di fare ciò che desidera, come è tipico dell’anarchismo. Insomma, la libertà si dice in molti modi, spesso equivoci.

Un aspetto pare abbastanza ovvio: diventare capaci nel tempo di agire in libertà è una conquista più che un dato di fatto immediato. Su questo il filosofo Fichte è illuminante: ciascuno è chiamato, se lo vuole, ad agire in libertà per rendersi libero. In che cosa consiste la “libertà di partenza”, cioè quella data? Nel libero arbitrio, la libertà di volere. E la “libertà traguardo”, cioè quella da conquistare? Nel compiere il bene come proprio dovere. Fichte, in questo suo modo di pensare, era comunque debitore alla filosofia pratica di Kant, secondo il quale solo nel dovere categorico si esprime vera libertà. Questa sarebbe la capacità di agire senza nuocere a sé e agli altri in quanto la persona, propria e altrui, va sempre considerata un “fine” in sé stesso e mai un mezzo.

A questa capacità di agire in libertà, su cui hanno riflettuto in maniera raffinata Fichte e Kant, faceva riferimento anche l’art. 4 della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789. In questo articolo si affermava: «La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri». Il che significa: se agisco in maniera da nuocere agli altri, quell’agire non è affatto espressione di libertà, nonostante io lo senta come espressione legittima di ciò che desidero. Ma, appunto, come è possibile che i desideri non siano liberi?

A chi si è occupato di riflettere con più calma sull’interiorità umana è apparso sempre abbastanza chiaro un elemento: i desideri disordinati rendono schiava l’anima. Il disordine interiore è il risultato di azioni ripetute che, pur non violando alcuna legge di convivenza (perché sembra non nuocciano ad alcuno), e pur essendo collegati all’appagamento di alcuni piaceri personali legittimi, alla lunga diventano vizi che incatenano l’anima, togliendole libertà di giudizio e di azione, anche in rapporto agli altri. Così, chi è schiavo della lussuria, farà fatica a vivere in libertà la sua fedeltà coniugale; allo stesso modo, chi è schiavo dell’avarizia, percepirà la generosità economica come difficile, se non impossibile, e via dicendo.

La libertà interiore la si percepisce quando si sente che è possibile compiere un’azione buona, o evitarne una cattiva, senza sapersi costretti o in obbligo da forze (i vizi) che sviliscono o impediscono del tutto quell’agire. “Non posso fare a meno di…”: dicono, spesso in lacrime, le persone attanagliate dal vizio! Per queste ragioni, sia i filosofi antichi (Aristotele e gli stoici), sia i santi cristiani hanno richiamato l’importanza del coltivar virtù. L’orientamento alla virtù, è bene ribadirlo, costa fatica e non è automatico, perché è un compito che ciascuno può svolgere sempre dal basso verso l’alto. Una scalata spirituale per uscire dall’obbligo che vincola e andare verso il dovere liberante.

Perciò stesso, per non nuocere agli altri, e quindi agire in piena libertà gli uni verso gli altri, è prima di tutto necessario imparare a non nuocere a sé stessi. Senza questo impegno nel ricercare la virtù personale la società non si costituirà come comunità fraterna di persone libere che si rispettano benevolmente a vicenda. Sarà solo un insieme di individui che si sopportano reciprocamente, finché non giunga l’occasione propizia per farsi prepotenza. Le due guerre in atto, in Europa e in Medio Oriente, non sono forse due visibili segnali della mancanza di questa libertà, illuministicamente e cristianamente intesa?

In secondo luogo, per agire il proprio dovere in libertà, è necessario conoscere quale sia il bene da farsi e il male da evitarsi. La previa conoscenza del bene, insegnava san Tommaso d’Aquino, è necessaria (seppur non sufficiente) per compiere azioni buone. Ora: una società che continua a comunicare ed insegnare che non esistono principi morali assoluti degni di essere compresi e perseguiti, ovvero una società che propone il relativismo etico come unico orizzonte di senso, non aiuta a sviluppare la libertà, bensì la tirannia delle coscienze individuali. A questo proposito, mi torna alla mente Antigone: se non ci sono leggi divine, stabilite in eterno, a cui la coscienza umana riconosce pieno e supremo valore, la legge umana è solo espressione dei capricci del “Creonte” di turno. Poco importa se il tiranno si sia auto-proclamato sovrano o abbia vinto legittimamente le elezioni democratiche.

Il fondamento della libertà traguardo di cui parla Fichte; il fondamento dell’imperativo categorico di Kant; il fondamento dei diritti umani (tra cui il più importante è e rimane quello alla vita) non può situarsi nell’arbitrario esercizio del potere umano, contrattualmente sancito di volta in volta per convenienza di chi detiene il potere quando è il suo turno. Questo fondamento etico, che è a favore della conquista della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità umane, sta in leggi divine non scritte, di cui ogni singolo cuore umano porta in sé un riflesso. “La legge morale dentro di me”, affermava Kant. Ascoltiamo le sue parole! Non l’anarchia dei desideri. Non solo il libero arbitrio. La legge morale, il “dovere per il dovere”: questa è la libertà che dà piena dignità a ciò che siamo e possiamo diventare come esseri umani. Cerchiamo di non dimenticarlo!

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