Chi è Gesù in realtà?

In questo Venerdì Santo propongo di meditare il seguente brano antologico tratto da un romanzo di uno dei più importanti scrittori cattolici polacchi del 1900, Jan Dobraczyński. In esso sono presentati i dubbi e le angosce di Nicodemo, membro del Sinedrio e discepolo di Gesù di nascosto. Questo saggio israelita, che aveva conosciuto bene il Maestro Gesù, si domanda come sia possibile che egli sia il Messia atteso da Israele. Un Messia Maestro, come lo volevano i Farisei; un Messia Taumaturgo amato dai moribondi; un Messia guerriero che annienta i nemici a cui credevano gli Zeloti… Questi Messia sarebbero stati più credibili. Ma, come aver fede in un Messia percosso e umiliato che sta per essere crocifisso? I Misteri della Passione e della Morte di Cristo che oggi celebriamo, e difronte a cui Dobraczyński ci pone con grande perizia di penna, non producono forse in noi gli stessi dubbi ed angosce del suo Nicodemo?

Dopo essermi intrattenuto un momento con Giuseppe [d’Arimatea], presi a camminare, tutto solo, nella corte, meditando sugli ultimi eventi. I pensieri mi ronzavano nel cervello come uno sciame di api. Che cosa significava tutto ciò? mi chiedevo. Alla solenne richiesta del Sommo Sacerdote Gesù aveva risposto dichiarando di essere il Messia e figlio dell’Altissimo. E, tuttavia, non aveva nel medesimo tempo annientato con la sua affermazione i suoi nemici! Una dichiarazione simile doveva avere l’effetto di una valanga che precipiti in un abisso.

Come mai in lui la cose più altamente soprannaturali si manifestavano in modo così comunemente umano? Chi è egli in realtà? Da secoli noi abbiamo aspettato il Messia, perché poi questi si compri la morte con la sua prima crocifissione? […] Ma chi è egli veramente? Per tre anni l’ho osservato da vicino e da lontano. Egli faceva e diceva cose inaudite, sconvolgenti. Non ci fu mai un uomo come lui. Un uomo… sì, perché anche se compiva prodigi straordinari, egli rimaneva pur sempre un uomo. Infatti, risuscitava i morti, ma tremava di freddo in un mattino più freddo del solito. Io stesso ho constato cento volte queste contraddizioni inspiegabili. Che cosa se ne può concludere? […]

Assalito da questi pensieri, che minacciavano di farmi scoppiare la testa, erravo intorno ai fuochi, vicino ai quali stavano sonnecchiando alcune persone. […] Giuseppe ha tentato invano di proteggerlo e io mi sono vigliaccamente allontanato. Perché sono così vile? D’altronde, non avrei potuto fare niente per lui. E anche i discepoli erano fuggiti. Se mi fosse stato possibile corrompere qualcuno, non avrei certamente risparmiato il denaro. Avrei sacrificato volentieri tutto il mio patrimonio. “Dammi le tue pene e prendi la mia croce!”. Un brivido mi percorse da capo a piedi.

La croce! Egli ne parlava così sovente, come se avesse saputo che quella avrebbe dovuto essere la sua morte. Poiché, se verrà condannato, dovrà morire in croce. Ma come devo prendere su di me questa croce? Devo farmi crocifiggere con lui? Sarebbe un suicidio? Nessuno vuole la mia morte. D’altronde la croce… No, no: non esiste nessuna forza al mondo che possa costringermi, in questa notte terribile, a prendere la sua croce! Perché non lo fanno i suoi discepoli? Loro si sono salvati e dovrei morire io? No! Piuttosto chiudere gli occhi a tutto ciò che stato e a ciò che sarà.

Camminavo in su e in giù, tutto intirizzito. Per scaldarmi un po’ mi fermai accanto ad un fuoco, ma non riuscii a stare fermo. Da lontano, arrivò il canto di un gallo. Improvvisamente un corteo urlante invase la corte. Avrei voluto fuggire, ma l’angoscia mi rendeva come impietrito. […] Un gruppo di domestici, di guardie, di giovani Leviti e di Farisei mi passò accanto ed in messo ad essi era il Maestro. Vidi il suo bel viso insudiciato dagli sputi, il capo cinto per scherno con una corona di paglia, le mani ancora legate dietro la schiena. Posava sugli uomini uno sguardo doloroso, che sfiorò anche me al suo passaggio. In lui non c’era più traccia del taumaturgo!

Era un uomo gettato al fondo di ogni umana miseria: un mendicante, un lebbroso, un infermo, un prigioniero, ed ognuno di questi volti era raccolto nel suo viso. È passato come un fantasma, ma la sua immagine dolorante resterà sempre fissa nella mia memoria. Restai al mio posto annientato. Se almeno gli fosse rimasta una minima traccia del Maestro che io avevo conosciuto una volta! Ma come difendere, come proteggere un disgraziato che la propria debolezza ha reso quasi – come devo dire? – ripugnante?

Brano tratto da Jan Dobraczyński, Lettere di Nicodemo. La vita di Gesù, Morcelliana,, Brescia, 1959.

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