Le scienze e l’esistenza

Nel seguente brano antologico il filosofo Edmund Husserl si interroga sul significato delle scienze positive e sulla loro presunta capacità di dare risposta ai problemi autentici dell’esistenza umana. Quali interrogativi sorgono di fronte alla pretesa delle scienze, sia della natura sia dello spirito, di voler dare esaustive spiegazioni dell’esistenza umana?

Adottiamo come punto di partenza il rivolgimento, avvenuto allo scadere del secolo scorso, nella valutazione generale delle scienze. Esso non investe la loro scientificità bensì ciò che esse, le scienze in generale, hanno significato e possono significare per l’esistenza umana. L’esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione del mondo complessiva dell’uomo moderno accettò di venir determinata dalle scienze positive e con cui si lasciò abbagliare dalla “prosperity” che ne derivava, significò un allontanamento da quei problemi che sono decisivi per un’umanità autentica. Le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto. Il rivolgimento dell’atteggiamento generale del pubblico fu inevitabile, specialmente dopo la guerra, e sappiamo che nella più recente generazione esso si è trasformato addirittura in uno stato d’animo ostile.  

Nella miseria della nostra vita – si sente dire – questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del destino; i problemi del senso o del non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso. Questi problemi, nella loro generalità e nella loro necessità, non esigono forse, per tutti gli uomini, anche considerazioni generali e una soluzione razionalmente fondata? In definitiva essi concernono l’uomo nel suo comportamento di fronte al mondo circostante umano ed extra-umano, l’uomo che deve liberamente scegliere, l’uomo che è libero di plasmare razionalmente se stesso e il mondo che lo circonda.  

Che cos’ha da dire questa scienza sulla ragione e sulla non-ragione, che cos’ha da dire su noi uomini in quanto soggetti di questa libertà? Ovviamente, la mera scienza di fatti non ha nulla da dirci a questo proposito: essa astrae appunto da qualsiasi soggetto. Per quanto riguarda, d’altra parte, le scienze dello spirito, che pure, in tutte le loro discipline particolari e generali, considerano l’uomo nella sua esistenza spirituale, cioè nell’orizzonte della sua storicità, la loro rigorosa scientificità, si dice, esige che lo studioso eviti accuratamente qualsiasi presa di posizione valutativa, tutti i problemi concernenti la ragione o la non-ragione dell’umanità tematizzata e delle sue formazioni culturali.  

La verità scientifica obiettiva è esclusivamente una constatazione di ciò che il mondo, sia il mondo psichico sia il mondo spirituale, di fatto è. Ma in realtà, il mondo e l’esistenza umana possono avere un senso se le scienze ammettono come valido e come vero soltanto ciò che è obiettivamente constatabile, se la storia non ha altro da insegnare se non che tutte le forme del mondo spirituale, tutti i legami di vita, gli ideali, le norme che volta per volta hanno fornito una direzione agli uomini, si formano e poi si dissolvono come onde fuggenti, che così è sempre stato e sempre sarà, che la ragione è destinata a trasformarsi sempre di nuovo in non-senso, gli atti provvidi in flagelli? Possiamo accontentarci di ciò, possiamo vivere in questo mondo in cui il divenire storico non è altro che una catena incessante di slanci illusori e di amare delusioni?

(Brano tratto da E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la filosofia trascendentale, Il Saggiatore).

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