La luce che illumina le luminarie

Di Luciano Pace.

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Un articolo riguardante le luminarie natalizie e il loro significato nell’ottica della fede cristiana.

Spesso le luminarie natalizie sono oggetto di critiche da parte di noi fedeli cattolici. Anche a me, non lo nego, è capitato più di una volta di pensare che le lucine natalizie fossero espressione della società dei consumi più che della fede in Cristo. Poi, però, grazie ad una buona conversazione con un amico, ho posto sotto critica riflessiva questo mio pregiudizio. Ciò che qui di seguito suggerisco è il risultato di questo esercizio di raziocinio critico.

Le lucine di Natale, quelle cui siamo abituati oggi, che funzionano con l’elettricità, furono inventate nel 1882 da Edward H. Johnson, amico e collega di Thomas Edison, il noto imprenditore nell’industria elettrica. La lampadina: un’incandescenza senza fiamma di fuoco. Immaginate la meraviglia al primo sguardo. Qualcosa luccica e brilla molto più di una candela, senza ardere come lei. 

Non può darsi che sia stata questa stessa meraviglia a condurre l’amico di Edison ad inventare le lucine di Natale? Di certo egli conosceva l’albero di Natale addobbato con le candele, tradizione che ancora oggi continua nelle zone dal Tirolo in su. Se vi dovesse capitare di andare ad una Messa natalizia in Alto Adige, vedreste che dopo la comunione vengono accese dal celebrante le candele dell’albero di Natale posto sull’altare. 

Comunque, tornando a Johnson, egli creò una fila di 80 lampadine bianche, rosse e blu (il patriottismo statunitense su faccende simili non manca mai) e le pose a decoro dell’albero di Natale del suo cortile di casa a New York. Di lì a qualche anno, nel 1894, un albero a lucine incandescenti simile a quello inventato da Johnson fu posto a decoro della Casa Bianca dal Presidente Grover Cleveland, nel suo secondo mandato non consecutivo. 

Attenzione, però. Con questo non si vuol dire che le luminarie elettriche siano collegate direttamente al Natale cristiano. Infatti, è più probabile che Johnson avesse in mente l’idea del natale inventata da Charles Dickens nella sua novella “Il canto di Natale”, data alle stampe nel 1843. Piuttosto, si intende suggerire che l’invenzione della lampadina è diventata ulteriore manifestazione di una simbologia della luce che è propria della tradizione cristiana, sebbene poi commercializzata a prescindere da essa.

Di quale simbologia si tratta? Provo a darne l’idea con alcuni esempi. Il primo: la luce di candela sempre accesa di fianco al Tabernacolo, ad indicare che la presenza eucaristica di Cristo non si spegne mai. Secondo: i “lumini” dei cimiteri, segno della “luce perpetua” in cui speriamo riposino eternamente i nostri cari defunti. Ancora: le candele votive accese all’altare della Madonna, del Sacro Cuore o dei santi, che indicano il lume fermo della fede presente anche nei momenti difficili della vita. E poi, il Cero Pasquale indicante il Cristo Risorto, le fiaccole delle processioni, eccetera. Vedi, caro lettore, quanta simbologia di luce nella fede cattolica! Se badi bene, tra l’altro, sempre di luce inestinguibile si tratta. 

Da dove si origina tutta questa ricchezza di manifestazioni simbolico-devozionali? Ovviamente dalla fede in Cristo “Luce dell’universo”. Nello straordinario Prologo anti-gnostico del Vangelo di Giovanni si legge al versetto 5 e al versetto 9: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. […] Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”.  Questa traduzione dal Greco del Nuovo Testamento è quella a noi più nota e risale alla versione in Italiano fatta nel 1974 dagli studiosi dell’Università di Gerusalemme.

Tuttavia, essa ha un problema: come è possibile “accogliere” o meno una luce? Riflettiamo con calma. In Italiano non associamo la luce all’accoglienza. Piuttosto, l’associamo al “rischiarare” il buio (la candela), allo “scaldare” o allo “scottare” (il fuoco), quando pensiamo alle sue proprietà transitive. Quando, invece, parliamo della luce in forma intransitiva, relata cioè alle azioni che essa può subire, la associamo ad “accendere” o “spegnere”. 

Rimaniamo un attimo sulle sue proprietà transitive. La luce, quando è accesa, illumina, rischiara e riscalda tutti quelli che sono sotto il suo effetto, non solo coloro che l’accolgono. Non posso impedire ad una candela accesa di illuminarmi. Posso farla smettere di illuminare se la spengo o mettermi a distanza da lei, dove i suoi raggi non giungono. Ma, quando è accesa, lei mi illumina se le sono a tiro, anche se a me dà fastidio. Non c’è nessun atto da parte mia che permetta alla luce di fare ciò che fa quando lo fa. Lei lo fa e basta! Che a me piaccia o no; che io ne sia contento o irritato. 

Perciò, nella nuova versione italiana della Bibbia del 2008, la cosiddetta “Nuova Riveduta” proposta dalla CEI, il versetto 5 del Prologo di Giovanni è stato ritradotto così: “La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta“. Che significa? Forse che la luce e le tenebre hanno combattuto e la luce ha vinto? Non proprio. Se così fosse, per indicare la vittoria della luce, l’autore, che scriveva in Greco della Koinè, avrebbe usato il verbo “Nikao“, che significa appunto “vincere una battaglia”.

Quella fra la luce e le tenebre non è, per l’evangelista Giovanni, una battaglia manichea fra il bene e il male. Il manicheismo non c’entra nulla con la speranza cristiana. Anche le parole greche antiche, piccole luminarie del pensiero nelle tenebre buie della nostra oscura ignoranza, sono lì ad indicarlo. Il verbo usato è “Katalambano“, che significa più letteralmente “fermare”, “costringere”, “obbligare”, “incatenare”, ecc. Proprio così, incatenare! Ti ricordi qual è il potere più grande, indicato da Tolkien ne “Il Signore degli anelli“, inciso sull’anello del potere di Sauron? “Nell’oscurità incatenarli“! Sarà un caso che un finissimo filologo cattolico di Oxford del calibro di Tolkien abbia scelto quella parola? Io non credo proprio!

Che significa, dunque, che la luce di Cristo non può esser vinta, incatenata, ingabbiata, ecc.. Molto semplicemente: non è in potere delle tenebre spegnerla e piegarla ai loro scopi. Come la luce di una candela non può esser spenta o raffreddata dal semplice buio che la circonda, così Cristo, Luce dell’universo, brilla nelle tenebre senza che esse possano sconfiggerlo, nemmeno scalfirlo. Queste tenebre sono la nostra umanità peccatrice, inclinata a compiere il male. Il peccato, che è l’oscurità in cui noi uomini siamo specializzati, non spegne la illuminante e calda luce di Cristo, accesa nell’Incarnazione. Questa è la speranza cristiana che può illuminare ogni uomo e donna, ad ogni Natale.

Questa speranza potrebbe investire di senso anche la luce delle luminarie, se solo fossimo capaci di sentirne la potenza simbolica ed apprezzarne la bellezza culturale. Purtroppo, in tempi come i nostri, in cui la cultura di massa promuove per lo più ansia, tristezza, noia, timore e senso di colpa, non è facile accorgersi della Luce Illuminate, calda, gioiosa e gentile, di Cristo. Prova provata: tanti hanno suggerito l’idea di risparmiare sulle luminarie in questi tempi di crisi economica. Chissà che luce possa portare mai il dio denaro!

Ebbene, sarebbe il caso di fare esattamente il contrario: quando il mondo vuole convincerci che le tenebre possano prevalere sulla luce (cosa impossibile) accendiamo luminarie ancora più belle, sebbene costi qualche soldino in più. Questo potrebbe aiutare tutti a comprendere di quale annuncio noi cristiani siamo testimoni e quale è la Vera Luce a cui diamo importanza.

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