La vera gioia!

Il seguente brano antologico è ancora tratto da uno scritto di Clive Staples Lewis (il noto scrittore de “Le cronache di Narnia). È contenuto nella sua autobiografia spirituale intitolata “Sorpreso dalla gioia“. In esso l’autore descrive che cosa abbia voluto dire il contatto con la vera gioia e di come tale contatto lo abbia condotto ad arrendersi alla presenza di Dio. Perché, secondo la sua testimonianza, a Dio ci si arrende solo quando si è compreso che la gioia da noi desiderata non può essere un prolungamento né dei nostri sensi, né del nostro pensiero, né della nostra immaginazione. La vera gioia è sempre l’esperienza della Nuda Alerità Anonima.

Ogni introspezione è sotto un certo aspetto fuorviante. Nell’introspezione si cerca di guardare “dentro se stessi” e di vedere che cosa succede. Ma quasi tutto quello che accadeva un istante prima viene bloccato nel momento stesso in cui ci votiamo a osservarlo. […] Questa scoperta gettò una nuova luce su tutto il mio passato. Mi avvidi che tutte le mie attese e veglie per la gioia, tutte le mie vane speranze di trovare un certo contenuto mentale sul quale poter, per così dire, puntare il dito e dire: “Eccola!”, erano state un’inutile tentativo di contemplare il goduto. […] La gioia stessa, considerata come un semplice evento della mia mente, risultò non avere alcun valore. […]

Mi ero chiesto se quello che volevo era la gioia stessa; e, etichettandola come esperienza estatica, mi era parso di poter rispondere di sì. Ma anche quella risposta era crollata. Inesorabile, la gioia proclamava: “Tu vuoi – e io stessa ne sono la voglia – qualcos’altro, fuori di te, non in te o in un tuo stato d’animo”. Ancora non chiedevo: Chi è il desiderato?, ma solo: Che cos’è? Ma questo mi spingeva già nei territori dello stupore, perché capivo in questo modo come nella più profonda solitudine vi sia una strada che porta dritto fuori di noi, un commercio con qualcosa che rifiutando di identificarsi con un qualsiasi oggetto dei sensi, o con una qualsiasi esigenza biologica o sociale, o con un qualsiasi cosa di immaginario, o con un qualsiasi stato d’animo, si proclama puramente oggettivo. Molto più oggettivo dei corpi, perché non è, al pari di essi, rivestito dai sensi; la nuda alterata anonima (benché la nostra immaginazione la accolga con centinaia di immagini) ignota, indefinita, desiderata. […]

Noi mortali, visti con gli occhi della scienza e come normalmente ci vediamo l’un l’altro, siamo semplici “apparenze”. Ma apparenze dell’assoluto. In quanto siamo realmente (che non è poi molto) affondiamo, per così dire, una radice nell’assoluto, che è la realtà totale.

Ed ecco perché sperimentiamo la gioia: ci struggiamo, giustamente, per quella unità che non potremo mai raggiungere se non cessando d’essere questi distinti esseri fenomenici che si chiamano “noi”. La gioia non era un inganno. Le sue apparizioni erano anzi i momenti di più chiara coscienza che avevamo, quando ci rendevamo conto della nostra natura frammentaria e fantasmatica e ci sforzavamo dolorosamente di raggiungere l’impossibile ricongiunzione che ci avrebbe annichiliti o l’autocontraddittorio risveglio che avrebbe rivelato, non che avevamo torto, ma che eravamo, un sogno.

Ciò sembrava soddisfacente dal punto di vista intellettuale. E anche da quello emotivo; perché importa più che il cielo esista e non che noi riusciamo a raggiungerlo. […] Ciò che avevo più temuto, si era alla fine impadronito di me. Durante il trimestre della trinità del 1929 mi arresi, ammisi che Dio era Dio e mi inginocchiai a pregare: fui, forse, quella sera, il convertito più disperato e riluttante d’Inghilterra. Allora non mi avvidi di quello che oggi è così chiaro e lampante: l’umiltà con cui Dio è pronto ad accogliere un convertito anche a quelle condizioni.

Per lo meno il figliol prodigo era tornato a casa con i suoi stessi piedi. Ma chi potrà mai adorare adeguatamente quell’amore che schiude i cancelli del cielo a un prodigo che recalcitra e si dibatte, e ruota intorno gli occhi risentito in cerca di scampo. Le parole complete entrare, obbligali ad entrare, sono state così abusate dai malvagi che a sentirle rabbrividiamo ma, opportunamente comprese, scandagliano gli abissi della misericordia Divina. La durezza di Dio è più mite della dolcezza umana, e le sue costrizioni sono la nostra liberazione.

(Brano tratto da C.S. Lewis, Sorpreso dalla gioia. I primi anni della mia vita, Jaka Book, Milano, 20215).

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