Quale immaginazione?

Di Luciano Pace. Sintesi del primo incontro della Scuola di Filosofia.

Sebbene possa sembrare strano, per potersi rendere conto che esiste davvero una realtà indipendente dal pensiero, è necessario riflettere sull’immaginazione. Infatti, il presupposto del realista, cioè il suo punto di partenza immediato, quello che considera assiomatico (cioè vero come dato di fatto indimostrabile), è che non tutto ciò che esiste è prodotto del pensiero. Sebbene il pensiero abbia la facoltà di entrare in contatto potenzialmente con ogni cosa, questa sua strutturale potenzialità non è tale da produrre ogni ente reale.

Riflettendo sul nostro modo di pensare, ci accorgiamo – se facciamo attenzione – che ci sono immagini che sono di pura fantasia e immagini collegate a ciò che chiamiamo “realtà“. L’immagine dell’unicorno è di pura fantasia; quella del cavallo e del corno non è di pura fantasia, quindi, diciamo che dipende dalla realtà. La pura fantasia segnala l’indipendenza del pensiero dai dati di fatto reali; l’immaginazione, correlata a ciò che è reale, segnala l’indipendenza degli enti reali dal pensiero.

Che differenza c’è fra l’immaginazione fantasiosa e l’immaginazione su ciò che è reale? Quando il nostro pensiero, la nostra mente (si potrebbe anche dire psiche o anima) immagina a partire da enti reali, grazie ad un contatto che si origina dai sensi (ma non si limita ad essi), si forma un’immagine collegata a questa impressione sensibile. Per esempio, supponiamo che un cavallo e un Narvalo mi impressionino sensibilmente. Di conseguenza, poi, se volessi disegnare un cavallo, o il corno di un Narvalo, quell’immagine non sarebbe pura invenzione del mio pensiero: essa dipende dall’esperienza sensibile con cui il pensiero è entrato in contatto e che semplicemente ha constatato. Il constatare che c’è qualcosa di non prodotto dal pensiero umano, ma di cui il pensiero si rende manifestazione, è una presa d’atto di coscienza, non l’esito di un processo inferenziale, cioè di un ragionamento logico, di un’argomentazione.

Quando, invece, a partire dalle immagini collegate ad impressioni sensibili, il nostro pensiero crea altre immagini che sono solo sue proprie, e che quindi non dipendono da un contatto immediato con il reale, può immaginare gli unicorni. L’unicorno è il risultato della pura fantasia umana che assembla creativamente le immagini che gli provengono dal contatto con la realtà (cavallo e Narvalo). Questa distinzione fra pura fantasia e immaginazione sul reale è il fondamento del realismo come dottrina filosofica, in particolare come modo di pensare il valore della conoscenza umana. Chi non dovesse ammettere l’evidenza di tale distinzione, sarebbe inevitabilmente costretto a supporre o che tutto è prodotto dal pensiero umano o che il pensiero umano è egli stesso propaggine della realtà materiale.

Nel primo incontro della nostra Scuola di Filosofia, mentre si è discusso ampiamente di tale distinzione, è stato fatto notare da qualcuno che la preminenza della realtà sulla fantasia non deve condurre a disprezzare la fantasia. Spesso, infatti. gli iper-realisti, sono impietosi verso l’umana fantasia, questa straordinaria facoltà della nostra anima senza la quale non ci sarebbe “Il Signore degli Anelli” di Tolkien, per esempio. Egli, stesso, fra l’altro, nel suo “Saggio sulle fiabe“, segnalava che una più fervida fantasia è a servizio dell’uso del ragionamento, non in contrasto con esso.

Inoltre, qualcuno ha molto opportunamente notato che la fantasia della nostra anima non si può esercitare a prescindere totalmente dalle impressioni sensibili, perché è da esse che il pensiero trae il cavallo e il corno per inventare l’unicorno. Il che è in linea con ciò che il più ferreo realista moderato della storia della filosofia, ovvero san Tommaso d’Aquino, sosteneva. Infatti, essendo la nostra anima forma spirituale di un corpo sensibile, le sue immagini di fantasia non possono essere scollegabili totalmente dalla sensibilità da cui derivano. Ora: sostenere che il nostro pensiero è in contatto con alcune cose reali da cui dipende e che queste cose le riconosce non come frutto della sua pura fantasia, significa appunto affermare che esistono delle cose indipendenti dal pensiero ma con cui esso entra in contatto.

Questo contatto del pensiero con le cose, mediato dall’immaginazione non pura, non è un contatto fisico. Quando immagino un cavallo non divento fisicamente un cavallo. Se lo pensassi, sarei io ad esser matto come un cavallo! Piuttosto, quando penso un cavallo, sono in contatto non fisico con un’immagine che proviene da un’impressione sensoriale. Questo contatto non fisico fra la mia immagine del cavallo e il cavallo reale cui essa si riferisce viene chiamato intenzionalità. La nostra mente umana è intenzionale, ovvero “aperta alla realtà” indipendente da essa,

Tuttavia, il concetto di “cavallo”, sebbene sia collegato all’immagine del cavallo che ho tratto dai sensi, non si identifica con quell’immagine. Per giungere al concetto di “cavallo”, il mio intelletto deve astrarre tutto ciò che è individuale dall’immagine e creare un un’impressione che permetta di cogliere un significato universale da collegare all’immagine. L’astrazione è il processo che ogni mente umana mette in atto per creare questa impressione (che non è più sensibile ma intellettiva) a cui collegare un significato universale. Il termine di questo processo è il concetto, in questo caso il concetto di “cavallo”. Ovviamente, l’astrazione può essere esercitata anche con le immagini della pura fantasia. Infatti, sebbene gli unicorni non siano reali, ognuno di noi possiede il concetto di unicorno.

La differenza fra il modo di essere del cavallo come concetto e il modo di essere del cavallo in se stesso è presto detta: il concetto è universale, ogni cavallo è individuo. Il cavallo come concetto è applicabile a tutti i cavalli esistenti, perché indica la forma della “cavallinità”. Il cavallo come ente reale è, al contrario, sempre unico ed irripetibile. Conoscere umanamente significa, anzitutto (ma non solo), aver presente in coscienza enti individuali attraverso significati universali, ovvero concetti. A giudizio del filosofo realista, questa aurorale forma di conoscenza è la base, il fondamento autentico del conoscere umano.

A partire da questa presa d’atto del reale da parte del pensiero, si costituiranno, per lo più come critica ad esso, anche tutti gli altri modi di pensare il valore del conoscere umano: razionalismo, empirismo, positivismo, pragmatismo, criticismo, idealismo ed esistenzialismo. Inoltre, in forza dell’assunzione del realismo, a conclusione dell’incontro si è fatto notare come, dal punto di vista teologico, esso sia l’unico modo di pensare che conduce ad ammettere l’esistenza di un Dio trascendente, ovvero indipendente dal pensiero umano e dagli enti reali.

Infatti, siccome l’essere, di cui il pensiero prende atto, è constatato non come una sua creazione, emanazione, produzione, di conseguenza l’anima umana, a contatto con la realtà, si domanda chi ponga in essere ogni cosa che c’è, lei compresa. Da chi dipende l’indipendenza del reale dal pensiero umano? E da chi dipende il modo di entrare in contatto del pensiero umano con il reale? A queste domande il filosofo realista cattolico risponde: da colui che chiamiamo Dio e che non si identifica con l’essere che crea, umano o non umano che sia. Ogni essere esistente, dal granello di sabbia sulla spiaggia del mare alla galassia più remota dell’universo, non è Dio, ma è posto in essere da Dio.

Laddove, all’opposto, si ritiene che la posizione filosofica realista sia ingenua, se non addirittura sciocca, o si comincia a pensare che sia l’essere indipendente dal pensiero (la Natura) ad esser divino. Questa è la posizione panteista. Oppure, ci si convince che è il pensiero umano ad esser manifestazione del pensiero divino. E allora si giunge all’idealismo assoluto. In entrambi i casi, il divino è immanente, cioè si identifica o con tutto il creato o con il pensiero umano.

Se ciò è chiaro, dovrebbe risultare altrettanto chiaro che escludere il realismo come modo di pensare non solo non permette di pensare la trascendenza divina, ma neppure la sua storica incarnazione. Infatti, se è la Natura stessa ad esser divina, ogni cosa è della stessa sostanza di Dio, cioè Dio è incarnato in tutto. Al contrario, se è il pensiero umano ad esser divino, ogni uomo ha la natura divina originariamente. Anche qui, entrambe le posizioni escludono la possibilità che il divino si sia incarnato solo in un essere umano preciso, che era contemporaneamente uomo e Dio e che è venuto nel mondo per redimere la natura umana non più divina come in origine. Ecco perché la teologia cattolica tradizionale, che indica solo in Gesù di Nazareth l’incarnazione di Dio trascendente, ha sempre tenuto in grande considerazione il realismo filosofico. E, seppur fra molte critiche e difficoltà, cerca di farlo ancora oggi.

4 pensieri riguardo “Quale immaginazione?

  1. Ele ha detto:

    È stato veramente piacevole leggere gli appunti del primo incontro della Scuola di Filosofia. Grazie a Luciano per il tuo impegno….e grazie anche a Tolkien, sempre illuminante.

  2. Lorenzo ha detto:

    A seguito del primo incontro, poiché se n’è parlato, vorrei proporre un approfondimento della differenza tra “sensazione” e “percezione”, però, da un punto di vista scientifico, pur rendendomi conto di rischiare di uscire dall’ambito filosofico che è l’alveo del nostro interesse. Per ció segnalo il libro di Giorgio Vallortigara, neuroscienziato, “Pensieri della mosca con la testa storta”, edito da Adelphi, che tratta il problema in modo originale ed interessante. Ritengo di farlo per due motivi: il primo, perché resto sempre meravigliato di come alcuni grandi filosofi, come S. Tommaso d’Aquino, riescano ad avere intuizioni che successivamente la scienza conferma; il secondo, perché, pur non sentendomi un “positivista”, credo, appunto, che lo studio del conoscere filosofico, soprattutto per i filosofi del passato, debba essere “riconsiderato” alla luce delle successive acquisizioni scientifiche nei vari ambiti: neuropsichiatrico, astronomico, biologico, tecnologico, ecc. Questo non per confondere le diverse discipline (far diventare scienza la filosofia, o, il contrario) ma per integrarle nella ricerca della verità (o di quanto di essa ci è concesso sapere).

  3. Andrea M. ha detto:

    Quando si parla di immaginazione e del mondo fantastico della favole non può mancare il pensiero del grande G.K.Chesterton:
    “Le favole non danno al bambino la prima idea di uno spirito cattivo. Ciò che le favole danno al bambino è la prima chiara idea della possibile sconfitta dello spirito cattivo. Il bambino conosce dal profondo il drago, fin da quando riesce ad immaginare. Ciò che la favola gli fornisce è che esiste un San Giorgio che uccide il drago” (da G. K. Chesterton, The red angel, in Tremendous trifles).

    “Fairy tales do not give the child his first idea of bogey. What fairy tales give the child is his first clear idea of the possible defeat of bogey. The baby has known the dragon intimately ever since he had an imagination. What the fairy tale provides for him is a St. George to kill the dragon”.

  4. Luciano Pace ha detto:

    Cari Lorenzo ed Andrea, grazie dei vostri preziosi suggerimenti. Spero, Lorenzo, di poter leggere, prima o poi il libro, a cui facevi riferimento. Evviva la simpatica e pungente sagacia di Chesterton!

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